PERSONE
di Carlo Melloni

Il Papa ha ammonito i fedeli a non immaginare Dio nelle sembianze di un vecchio con la barba. Con un sol colpo ha sconfessato Michelangelo e i suoi più o meno illustri predecessori e successori, nonchè gli innumerevoli interpreti della cultura bassa, dipintori e plasticatori, illustratori di “biblia pauperum” e di immaginette sacre che, da secoli, hanno raffigurato il Padreterno con quei caratteri somatici. E’ stato detto che uno dei motivi di questa inaspettata sortita ierofanica del Papa sia da ravvisare nel fatto che il cattolicesimo ha difficoltà a farsi strada tra i popoli di pelle nera, gialla e rossa se il prototipo iconico del Creatore è un uomo di pelle bianca. Non entro nel merito di questa disputa catechetica che, peraltro, non mancherà di creare qualche problema a tutti quegli artisti che, nelle loro opere, hanno necessità di mostrare la presenza di Dio. Problema meno imperioso per pittori e scultori astratti. Forse perchè Dio è astrazione per antonomasia? Non lo escluderei, ma l’ipotesi si presta a qualche smentita. Ad esempio, non tutti gli artisti che hanno dipinto temi sacri hanno raffigurato Dio allo stesso modo, non esiste cioè un idealtypus per Dio. Tra l’altro, nel campo dell’iconologia agiografica, i santi hanno volti diversi, esistendo una tradizione, anzi degli stereotipi in base ai quali la loro riconoscibilità è legata ad attributi esteriori: la graticola di S. Lorenzo, le frecce di S. Sebastiano, ecc...
La ritrattistica, in generale, presenta un ventaglio molto ampio di soluzioni perchè se il soggetto non è a portata di mano, l’artista, quando non abbia qualche punto d’appoggio (una foto, un disegno o un’incisione o una minuta descrizione somatica) s’affida alla fantasia, all’invenzione. Si pensi a quanti Adamo ed Eva sono stati dipinti o scolpiti. In questi casi, la storia dell’arte distingue i ritratti che non siano fisiognomici in intenzionali e tipici: i primi riferiti in modo inequivoco a particolari personaggi, i secondi quando il soggetto ritratto porta, per così dire, le stimmate della categoria sociale o del contesto storico-narrativo ai quali appartiene. Spesso, nei ritratti caricaturali queste ultime caratteristiche risultano esasperate.
Ma se Dio, nemmeno per tacita convenzione, non può essere un vecchio con la barba (ma il cristo Pantocratore, che è il suo alter ego, sì, perchè si è fatto uomo), anche un ritratto può non essere la bella (o brutta) copia di un essere umano, cioè può essere privo di quei caratteri distintivi che lo fanno incasellare in una delle classi di cui si diceva sopra. Lasciando perdere i ?ritratti d’ignoto? (così detti o per difetto di attribuzione o per...infortunio pittorico) che abbondano nella produzione artistica di sempre, prende corpo un’altra classe, ben più vasta, di volti e figure umane dipinti o scolpiti, la classe dei ritratti immaginari. Cioè dipinti senza riferimenti identificativi, ma che per il gioco dell’approsimazione fisionomica possono essere, fortuitamente, l’identikit di qualcuno. Per cui, in omaggio alla privacy, come all’inizio di certi film, sarebbe opportuna l’avvertenza che qualsiasi riferimento a persone reali è del tutto casuale. Appartengono all’anzidetta classe le "persone"1) che VITTORIO AMADIO ha dipinto a decine, di cui questa monografia ci presenta una vasta scelta. Ciò che a prima vista colpisce di questa parata di "maschere" è l’ampia gamma di colori usati dall’artista.
Se, per ipotesi, tra esse vi è l’immagine di Dio (chi può negarlo?) si può tranquillamente affermare, con buona pace del Papa, che è un Dio multirazziale; notazione, questa, che consente di collocare l’artista ascolano all’interno di quel continuismo iconografico, che attinge, per mediazione culturale e, quindi, per una sorta di rimandi mentali ad incastri successivi, alla preistoria e alla storia dell’arte. Gli Acheloo e le antefisse gorgoniche e i kantharos bifronti degli etruschi, materiale plastico a corredo di precisi rituali, sovente caricati di valenze apotropaiche, e via via transitando per le maschere del teatro romano (delle atellane) e i mascheroni (La bocca della verità) e, a portata di mano, il motivo bifacciale al centro del mosaico romano (I sec. a.C.) custodito al Museo Archeologico di Ascoli, poi le gargolle gotiche; e, ancora, viaggiando attraverso il mondo fantastico e ironico di Bosch e di Arcimboldi, lambendo la teratologia medievale e poi Bomarzo e villa Palagonia, fino alla grottesca féerie dell?’Entrata di Cristo a Bruxelles? di Ensor e alle maschere del carnevale di Ostenda dello stesso autore. Ma uno sguardo bisognerà pur darlo ai caricaturali "figuri" di Hogarth e di Daumier, agli incubi di Füssli. Anche a motivo di tali ascendenze, si capisce perchè le "maschere" di Amadio vivano una dimensione notturna, quasi un "regressus ad uterum", ma in una precondizione (o precognizione?) che non è albale, direi, piuttosto, crepuscolare. Voglio dire che l’aria che vi circola proviene da Thanatos più che da Eros.
Amadio (per ora) conclude il ciclo iconografico a modo suo, calandosi come spesso gli accade, nel ruolo di un demiurgo, che qui muove imparzialmente una serie infinita di figure senza corpo, dunque asessuate, dunque "persone", tra le quali non ci sono nè buoni e nè cattivi alla maniera di Lombroso, e dove il concetto di bello abbandona totalmente i canoni classici per rifugiarsi in una morfologia pittorica che si esaurisce in sè stessa, non pretende cioè di conformarsi a regole di bon ton estetico o politically correct. D’altra parte, come s’è detto, essendo esse al riparo del mito, non ne avrebbero necessità.
Al limite, per queste maschere che l’artista confeziona di getto, ciascuna diversa dall’altra e tutte diverse da una realtà confrontabile si potrebbe ricordare che Géricault soleva dire: "Comincio a disegnare un nudo di donna e mi vien fuori un leone ".


1) - Il termine "persona" nell’accezione originaria etrusca significava maschera teatrale. Successivamente indicò "individuo di sesso non specificato".